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Tagliare la corda per tagliare i capelli

Sana Dembele se ne va di casa a 13 anni. È orfano di padre. Non sa dove andrà né se tornerà. “Taglia la corda”, ma non è un capriccio. Non tornerà. Ora taglia i capelli, fa il parrucchiere in via Roma, a Reggio Emilia. Dopo aver continuato a vagare per anni in Africa, ora fa orario continuato qui.
È con la sua storia che iniziamo il racconto di quelle vite d’altri che sono tra le più invisibili. Le raccoglie e le racconta lo scrittore Piergiorgio Paterlini

Chiudete gli occhi. Immaginate un ragazzino senegalese, di appena 13 anni, che se ne va di casa. È orfano di padre, ma ha sua mamma, due fratelli, due sorelle e un gemello. Una famiglia contadina. Dice: «vado». Semplicemente. «Non so dove. Non so quando torno. Non so se torno».
E tua madre cosa ha detto?, gli chiedo.
«Nulla. Non pensava che sarei andato così lontano. Che sarei stato via tanto, anzi che non sarei più tornato. E non lo pensavo realmente neanch’io».
Sana ˗ si chiama così il ragazzino del Senegal ˗ non è un adolescente capriccioso che poi si riaffaccia alla porta di casa affamato, assonnato, un po’ impaurito dopo due giorni. È uno che starà in giro per tutto il Sudafrica dieci anni, Paese dopo Paese, da solo, a piedi, dormendo dove capita, mangiando se capita. Per i primi quattro anni non ha nemmeno un telefono, e non sentirà mai la sua famiglia, né la sua famiglia lui. Saranno vivi? Saranno morti? Chi lo sa. Fa mille lavori, ne vede di cotte e di crude. Poi decide che, se vuole rifarsi una vita, non deve, non può tornarsene a casa, deve arrivare in Europa. E a quel punto la trafila è la solita. Libia, due mesi d’attesa, barcone, Sicilia. Poi, dopo un paio di settimane, Reggio Emilia.
«Conoscevo la Spagna un po’ ˗ dice ˗ dell’Italia nulla».
Non è dato sapere il motivo della fuga. Sta nei documenti riservatissimi in cui è contenuta la sua richiesta di protezione come richiedente asilo. E della sua peregrinazione Sana preferisce non parlare. Gli chiedo solo se rifarebbe tutto. «No ˗ mi risponde ˗ ma adesso sono grande e conosco la vita». Fine.
Sente al telefono sua madre e il suo gemello. Con gli altri fratelli e sorelle no, nessun rapporto. Qualcosa marciava storto già prima che lui se ne andasse di casa.
Chiudete gli occhi e provate a immaginare questo ragazzino che un giorno prende su e, da solo, parte dal suo Paese affacciato sull’Oceano Atlantico, di fronte a Capo Verde, e si fa praticamente tutta l’Africa, dal Benin alla Nigeria, dal Camerun al Niger, dalla Guinea Equatoriale al Gabon, dal Sud Africa alla Repubblica Centrafricana al Togo, per risalire su fino all’Algeria e alla Libia da cui poi partirà per l’Europa.
E ora apriteli, gli occhi. Siete a Reggio Emilia. Nella centralissima via Roma. Al numero 29 Sana ˗ che oggi ha 28 anni ˗ gestisce da solo un negozio di parrucchiere. Sana adesso è un uomo e fa il parrucchiere nel cuore del Popol Giost. Taglia i capelli a uomini e donne, giovani e vecchi, bambini e ragazzi. «Il 70% stranieri ˗ mi dice ˗ ma il 30% italiani, reggiani. Le persone, clienti e no, residenti e no, mi vogliono bene. Mentre faccio i capelli parliamo di tutto».
Rimarrai a Reggio? Continuerai a fare il parrucchiere? Sei felice qui? Che sogni hai per il tuo futuro? Lo incalzo un po’, con tutto il pudore di cui sono capace. Sana non è proprio che si sottragga, ma capisco che ne ha abbastanza del presente. «A Reggio mi sono trovato subito bene». «La tristezza non risolve niente». In effetti, c’è poco da ribattere e ancor meno da aggiungere.
Il negozio era di gente del Bangladesh che poi se n’è andata e gli ha lasciato la “bottega” (o si dovrebbe chiamare “salone”?). «Ho scoperto che mi piace molto questo lavoro», questo sì, lo dice, e quanto ai sogni sono due e anch’essi bastano e avanzano: avere tutti i documenti e potersi comprare il negozio.
Dunque, probabile che rimanga qui un bel po’.
Possibile che io riesca a fare un salto a salutarlo più di una volta, nel quartiere dove fino a pochi anni fa abitavo anch’io.
Non c’è bisogno di appuntamento.
Sana fa l’orario continuato, dove per continuato si intende dalle nove del mattino fino alle otto o anche alle nove di sera. Sabato e domenica compresi. Sette giorni su sette. Undici-dodici ore di lavoro filate. Non si può dire si risparmi. Sono contento di pensare che i clienti non gli manchino. Poi la sera ˗ e immagino non sia proprio riposato ˗ torna a casa a studiare.
Se non hai neanche il tempo di dormire, come farai a sognare?, penso fra me e me.
Ma qui c’è in ballo la vita, il futuro.
Sana mi racconta il suo percorso da centometrista, più che da maratoneta come farebbe pensare la sua decennale peregrinazione africana. «In tre anni più o meno ho imparato la lingua ˗ in Senegal avevo studiato il francese e lo spagnolo ˗ ho fatto prima la scuola per parrucchieri, poi il tirocinio a Rubiera, e ora ˗ mentre lavoro ˗ sto facendo un corso di tre anni sempre per parrucchieri ma di altissimo livello».
Magari riesce davvero a comprarsi il negozio. Magari diventa un parrucchiere all’ultima moda. Magari lo è già. Non l’ho ancora visto all’opera. Ma non sarei stupito.
Sì, decisamente è abbastanza. Lo sarebbe per chiunque, anche per chi non dovesse portare sulle spalle il macigno di un passato che io non riesco neanche a immaginare. Quegli eterni dieci anni in giro, già da esule, profugo, straniero, in Africa.
Le frasi lapidarie di Sana rimangono con me a lungo anche dopo i saluti e gli auguri. Credo rimarranno per sempre. Sono semplici, dirette, essenziali. Sono le frasi di chi non ha tempo da perdere e di chi non può permettersi il lusso di lanciarsi in ardite speculazioni. Di sicuro, però, non assomigliano alle massime dei Baci Perugina.
«Quello che è passato è passato».
«Adesso sono grande, ho capito la vita».
E, su tutto:
«La tristezza non ti fa risolvere i problemi».

Piergiorgio Paterlini

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