Così come era accaduto nella primavera del 2019, le due RTI reggiane (una delle quali ha come capofila la Dimora d’Abramo, in rete con il Ceis e le cooperative Centro Sociale Papa Giovanni XXIII e Ballarò) non hanno partecipato alla gara d’appalto emessa dalla Prefettura di Reggio Emilia sulla base di uno schema ministeriale ancora non modificato alla luce di quanto, invece, è stato fatto sui decreti sicurezza con il recente DL 130.
A darne notizia, a poche ore dalla chiusura del bando, è stata Confcooperative Reggio Emilia, alla quale aderiscono tutte le cooperative sociali reggiane che in questi anni hanno gestito i servizi d’accoglienza per quasi oltre 3.000 rifugiati in terra reggiana, circa 1.200 dei quali ancora presenti nel nostro territorio.
“Le ragioni che hanno determinato la decisione comunicataci dalle cooperative – sottolinea la nota diffusa alla stampa da Confcooperative – sono di rilevante interesse pubblico ed espressione di un senso di responsabilità verso le comunità locali e i richiedenti asilo che fa onore ad una cooperazione che si è sempre mossa virtuosamente in questi anni, costruendo un sistema d’accoglienza che ha garantito sicurezza, integrazione e profondo rispetto tanto delle istanze del territorio quanto di quelle dei rifugiati”.
“Un percorso – spiega Confcooperative – nel quale si è inserito un profondo cambio di rotta, con l’evidente primato accordato dal bando alle forme d’accoglienza collettiva in strutture fino a 50 posti (per un totale di 900 posti), ritenute del tutto inidonee a garantire qualità dell’accoglienza, a limitare gli impatti e i possibili conflitti nelle comunità (e quante potrebbero ospitare strutture di tali dimensioni?) e ad assicurare quella sicurezza che è a maggior ragione richiesta nel pieno dell’emergenza pandemica”.
“Gli apprezzabili sforzi della Prefettura atti a migliorare alcuni aspetti che in passato erano stati oggetto di critiche – prosegue Confcooperative – non sono stati sufficienti a modificare i pesanti limiti che si legano proprio ad un passaggio che, se accolto con l’adesione pur legittima delle cooperative, avrebbe sconfessato tutti i risultati d’eccellenza raggiunti nella nostra provincia grazie ad un’accoglienza diffusa che si sviluppa nel territorio in 300 appartamenti. Una formula condivisa e costruita con le amministrazioni locali, che non solo ha evitato le concentrazioni che in altre aree del Paese hanno mostrato tutti i loro limiti sia in termini di sicurezza che di relazione con le comunità, ma ha favorito una relazione virtuosa con i servizi pubblici, i cittadini, le realtà sociali presenti nelle diverse comunità e, perciò, una integrazione fondata sul rispetto di ogni diritto degli accolti e delle comunità accoglienti che è fattore di coesione sociale nel nostro territorio”.
“Le strutture collettive – sottolinea Confcooperative – sono stati utilizzate nel nostro territorio per brevi periodi e in fasi assolutamente emergenziali quanto a intensità dei flussi in ingresso, ma nel tempo vanno a cozzare con evidenza tanto con i principi di buona accoglienza sottoscritti in apposito documento e praticati dalle cooperative reggiane quanto con la necessità di evitare concentrazioni più gravide di rischi e di possibili tensioni nelle comunità locali; a questo, poi, si aggiunge lo specifico e grave problema legato ad assembramenti – di qualunque natura – che andrebbero a scontrarsi con le politiche di contenimento dei contagi da Covid-19”.
“In campo – prosegue Confcooperative – restano anche altri aspetti da rivedere, a partire da uno schema di bando ministeriale non ancora modificato alla luce delle nuove norme su flussi e sicurezza e di profilo molto assistenzialistico e poco conforme a principi di accoglienza e integrazione che vanno invece rafforzati nell’interesse delle nostre comunità e dei rifugiati”.
“Per questo, nel rispetto delle specifiche competenze e responsabilità – conclude Confcooperative Reggio Emilia – chiediamo il rilancio immediato di un confronto sul tema dell’accoglienza che coinvolga i diversi soggetti che ne sono nei fatti protagonisti e che sono contemporaneamente chiamati al rispetto di norme e diritti, a garantire sicurezza, coesione nelle comunità, sostenibilità economica dei percorsi e una qualità dei servizi tale da assicurare un’accoglienza che continui a rappresentare un valore per il nostro territorio”.
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